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Da Trento al mondo: i figli delle migrazioni e l’emigrazione oggi

Un ritratto dell’associazione “Trentini nel mondo” tra relazioni internazionali, iniziative culturali e formazione linguistica

Tra agosto e settembre 2021 è ripartita un’iniziativa storica, che il Consorzio ICoN segue dal 2003 e che ha formato più di 800 persone negli anni: si chiama “L’italiano in aula virtuale per i trentini nel mondo”, e il suo scopo è di insegnare la lingua degli antenati ai discendenti di trentini emigrati all’estero. Il primo corso di questa nuova edizione è un livello base (A1) che coinvolge 36 partecipanti, provenienti soprattutto dall’America latina, e da quest’anno il nostro riferimento è l’ODV (Organizzazione di Volontariato) Trentini nel mondo. Per questo abbiamo chiesto un incontro con il direttore dell’ODV, Francesco Bocchetti, che ha accettato volentieri il nostro invito e ci ha condotto in un vero e proprio “tour virtuale” dell’associazione. Abbiamo parlato delle loro iniziative storiche e di quelle più recenti, delle comunità di trentini all’estero – veri e propri ambasciatori della lingua e della cultura italiana nel mondo – e delle diverse realtà dell’emigrazione italiana di ieri e di oggi.

Buongiorno dottor Bocchetti, e grazie per averci concesso questa intervista! Per prima cosa mi piacerebbe sentire proprio dalle sue parole una presentazione dell’associazione "Trentini nel mondo": che cos’è, di che cosa si occupa, la sua storia e le sue attività più importanti.

Dunque, cercherò di essere sintetico, ma allo stesso tempo preciso. La ODV “Trentini nel mondo” è un’associazione storica, con più di sessant’anni di vita: è stata fondata nel 1957 con il proposito di aiutare gli emigrati e i loro discendenti, così come chi voleva emigrare. Parliamo di un’epoca in cui dalla provincia di Trento partiva un flusso significativo di migrazione, soprattutto verso l’Europa, ma anche verso il Canada e altri Paesi. Il proposito principale dell’associazione era di supporto e di preparazione, così come di aggregazione a fini culturali. Ma non solo: attraverso l’aggregazione, si promuoveva anche la presenza degli italiani nelle località estere dove operava l’associazione, favorendo così il riconoscimento di queste comunità da parte delle autorità locali.

Dopo questa prima fase, all’associazione si sono via via aggregate organizzazioni di trentini già esistenti, soprattutto nelle Americhe – circoli trentini fondati già negli anni Venti, Trenta, Quaranta – e poi, successivamente, nuove diramazioni che si venivano a creare in Sudamerica, in Australia, in Canada e così via. Oggi l’associazione conta circa duecento circoli affiliati, distribuiti in una trentina di Paesi, ed è forte soprattutto come presenza nel Sudamerica, in particolare nel Brasile meridionale, in Argentina, Uruguay, Paraguay e Cile; nel Nordamerica abbiamo Canada, Stati Uniti e Messico; infine l’Australia, e alcuni Paesi europei.

Naturalmente col tempo l’attività dell’associazione si è evoluta, si è allargata, e ha un forte radicamento territoriale. Oggi, oltre al classico lavoro di assistenza all’emigrazione si è affiancata una funzione di tipo culturale, e anche una seconda funzione di facilitatore di costruzione di reti: persone, gruppi o enti trentini che vogliono avere delle relazioni con altre persone, gruppi o enti, nei luoghi dove si trova un’altra comunità trentina. Di conseguenza siamo coinvolti in molte iniziative, per esempio con le scuole: in questo momento seguiamo una collaborazione tra scuole che coinvolge Bosnia, Romania e Trentino. Un’altra iniziativa che seguiamo è un progetto europeo sulla percezione dell’emigrazione, con una dozzina di partner coinvolti un po’ in tutta Europa. Che altro? Abbiamo recentemente organizzato un corso di gelateria artigianale online tra Italia e Argentina. Facciamo molte cose, cercando di fare rete e di dare valore a questo grande patrimonio di relazioni che in sessant’anni l’associazione ha costruito e che oggi possiede. Questo direi che in estrema sintesi è quello che facciamo.

È il ritratto di un’associazione molto vitale. Mi è sembrato, ascoltando, che ci sia stata una sorta di spostamento, o meglio di allargamento di attività che ha seguito l’evolversi dell’emigrazione: l’associazione è nata per sostenere chi andava all’estero, ma poi il contatto si è rafforzato con chi all’estero ci è rimasto e poi ancora con le generazioni successive. Una specie di andata e ritorno.

Certo, a seconda dei contesti dell’emigrazione e delle situazioni abbiamo a che fare ormai con una vastissima gamma di persone e di esperienze migratorie. Abbiamo relazioni con luoghi dove siamo ormai alla quinta generazione di emigrazione, o anche oltre, ma in cui il legame con la terra di origine degli antenati rimane; così come siamo in relazione con luoghi dove magari l’emigrazione è più recente: penso al Cile, all’Australia o al Canada dove siamo magari alla seconda, terza generazione e dove sono presenti ancora alcuni nativi trentini; così come lavoriamo anche con i nuovi emigrati, nel contesto della nuova mobilità internazionale, vale a dire chi è partito negli ultimi vent’anni e lavora nelle nuove destinazioni, che sono le capitali europee: Londra, Barcellona (che non è una capitale ma ci siamo intesi), Berlino, le nuove destinazioni più “esotiche”… in questi casi spesso ci sono solo uno o due contatti, e non più grandi gruppi a cui fare riferimento, ma cerchiamo di tenerci in relazione anche con loro e di collaborare. Questo come panoramica generale, ma devo fare una considerazione importante.

Il desiderio di relazione spesso non dipende dal numero di generazioni che intercorrono tra l’emigrazione e il momento di oggi. In alcune realtà si formano delle grandi comunità dove il senso di appartenenza e d'identità è molto forte: per esempio, nel Brasile meridionale ci sono grandi collettività di origini italiane, tra cui anche trentine, che conservano un legame molto particolare con la terra di origine. Così come ci sono in altre realtà, penso alla Bosnia, ma non solo… quindi la cosa più rilevante per noi non è tanto quanto tempo è passato da quando l’avo è emigrato, ma qual è il desiderio di relazione che c’è con l’Italia da parte delle persone e delle comunità.

Le aule virtuali di ICoN appartengono forse a quest’ultimo gruppo cui abbiamo fatto riferimento: gli studenti che partecipano a questa iniziativa sono discendenti di trentini all’estero che devono riguadagnare un contatto con la lingua degli antenati. Non so se ha avuto occasione di vedere la tavola rotonda che abbiamo registrato di recente, in cui abbiamo coinvolto degli studenti che hanno frequentato il corso negli anni passati, quando era promosso dalla Provincia Autonoma di Trento. Le tre persone in questione erano proprio di origine sudamericana, tra l’altro. È stato bello in particolare sentire da parte loro l’affetto per l’Italia: io non mi sarei mai aspettata un desiderio così profondo di riconnettersi alle proprie radici. E la lingua è percepita come uno strumento essenziale per riappropriarsi di questa identità.

Sì, è bello, si percepisce un desiderio di relazione molto forte. In questo, noi e la Provincia Autonoma di Trento, crediamo molto. Crediamo nella diffusione della lingua proprio perché è uno strumento facilitatore della relazione incredibile… insomma, ancora oggi quando facciamo incontri mondiali la lingua veicolare è l’italiano. Perché comunque, tra i nostri dirigenti dei circoli, non è ancora l’inglese la lingua veicolare: quando il Canada deve parlare con il Paraguay parla in italiano. Questo è molto importante perché volendo lavorare sul concetto di rete, che sia una vera rete e non una stella con Trento al centro, è importante che le comunità trentine si parlino tra di loro anche tra un Paese e l’altro. Questa è una delle cose più importanti.

Comunque ho visto il video, l’abbiamo anche rilanciato sui nostri canali, ci ha fatto molto piacere… e ho visto anche qualche volto noto, che avevo già incrociato. È stato molto interessante seguire la discussione e siamo contenti per queste iniziative: ci aiutano a parlare di quello che si fa, e a fare conoscere anche la realtà dell’emigrazione italiana all’estero, perché purtroppo troppo spesso la parola “emigrazione” in Italia viene associata alla parola “storia”, e la storia, ahimè è una cosa del passato. In realtà, esiste un “oggi” dell’emigrazione italiana, esistono quattro milioni e mezzo di cittadini italiani che risiedono all’estero, persone con la cittadinanza italiana, che magari non hanno neanche mai messo piede in Italia, ma che hanno la cittadinanza italiana e sono italiani a tutti gli effetti… ed esiste una comunità di italodiscendenti che oggi vuole una relazione con l’Italia. Il fatto che i loro antenati siano partiti nel 1950, nel 1920 o nel 1870 non ha nessuna o pochissima rilevanza, è il desiderio che le persone hanno oggi di relazione che va valorizzato, e che va coltivato.

È una relazione importante, io quando faccio gli incontri dico sempre: insomma, qual è l’amico più importante per voi, quello che avete conosciuto all’asilo e c’è ancora, o quello che avete conosciuto la settimana scorsa in discoteca? Un’amicizia che viene coltivata da più di cento anni è un’amicizia importante, non si può lasciarla andare. E questa è un’amicizia che noi dobbiamo coltivare.

È una realtà di cui in effetti si sente parlare poco spesso: che l’emigrazione italiana è continua, intendo. Possono cambiare le destinazioni, ma… in Sudamerica prima diceva che siamo, alla quarta, quinta generazione?

Dipende dai posti: in alcuni è la quarta o quinta, in altre l’emigrazione è più recente, ogni luogo poi ha la sua piccola storia ed è diverso. Però sì, dal Trentino si emigra ancora oggi. La mobilità umana non ha un inizio e una fine, perché darla per finita? Devo dire che è anche un elemento culturale italiano, quello dell’emigrazione… nella nostra cultura nazionale l’emigrazione in qualche modo c’è, è sempre una porta aperta, considerata, c’è una propensione a emigrare significativa. Oltre che a situazioni economiche o condizioni personali, voglio dire, c’è una certa propensione a vedere l’estero come una tra le alternative da esplorare. Magari è più difficile spostarsi in un’altra regione che in un altro Paese. Tant’è che, quando si parla con i nuovi emigrati e si chiede “torneresti in Italia?”, la maggior parte di loro, che magari vive a Londra, Bruxelles, Parigi risponde: “ma cosa ci torno a fare in Trentino?”. Nessuno di loro pensa a Milano, per esempio. Pensa, per così dire, a rientrare nel paese con la “P” minuscola, non maiuscola. L’ipotesi di lasciare Parigi per andare a Roma, Milano, Torino o Genova non la considerano neanche. Ma immagino che nel nostro Paese di campanili questa cosa sia un po’ condivisa anche con altre realtà regionali.

Chissà che cosa ne penseranno i figli e i nipoti di questi emigrati attuali… per esempio, nella tavola rotonda abbiamo sentito uno di questi studenti, Carlos, che studiava dal Brasile, raccontare del suo sogno di trasferirsi in Italia. Una specie di ritorno a casa, insomma, tramite i discendenti. Un’altra cosa divertente che raccontava è stato il suo primo incontro con l’italiano vero e proprio, dato che nel suo paese gli emigrati parlavano in dialetto.

È vero, tanti vogliono almeno passare dei periodi in Italia. Sul dialetto, invece, una curiosità: nel Brasile meridionale diversi circoli trentini offrono corsi di italiano, organizzati da loro, e in alcune realtà, quelle dove la comunità è più forte e radicata, i corsi sono alternativamente di “talian” oppure di “grammaticale”. Il grammaticale sarebbe l’italiano standard, mentre il talian è il dialetto.

È buffo che “talian” sia il dialetto e non l’italiano…

In realtà è considerata una lingua minoritaria in Brasile, è una sorta di italiano regionale dell’Est, un po’ veneto-trentino-friulano, un po’ mescolato con degli inserti di portoghese che vanno, per esempio, a coprire delle lacune linguistiche come le parole che ancora non c’erano quando i parlanti originari sono emigrati. Io non sono un esperto, quindi non lo conosco molto bene, ma mi facevano spesso l’esempio della lavatrice, che si dice la “lavaroba”, che sarebbe la “lavaropa” portoghese italianizzata poi in “lavaroba”. È una sorta di lingua a parte, che ha seguito il suo percorso e viene parlata nelle comunità italofone del Brasile meridionale.

Dato che siamo entrati in argomento, volevo concentrarmi ora sulla questione della formazione linguistica. Per il Consorzio le aule virtuali per i trentini nel mondo sono ormai un progetto storico, è nato nel 2003 e ha formato ormai più di 800 persone in maniera continuativa. Inizialmente si svolgeva in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento, poi avete preso la consegna voi da quest’anno. A ICoN siamo molto contenti che sia successo perché è un progetto che ha accompagnato tante persone dal primissimo contatto con l’italiano ai livelli intermedio-avanzati... e alcuni studenti sono anche venuti a studiare o abitare in Italia. Insomma, ci teniamo molto! Com’è avvenuto questo passaggio di consegne? E come sta andando, per ora?

Il passaggio è avvenuto in maniera molto fluida e naturale: l’associazione collabora con l’ufficio emigrazione della Provincia da sempre. Da quando le due entità esistono lavorano assieme, e c’è sempre stato uno scambio di informazioni e di attività. Anche quando il progetto era gestito dalla Provincia l’associazione ne era parte ed era uno dei veicoli di promozione e di diffusione: molti degli ex studenti, penso forse la maggior parte è legata ai circoli di trentini all’estero, per esempio.

Immagino di sì, sono dei luoghi di aggregazione…

Il passaggio quindi è stato, più che altro, una questione formale e amministrativa: in questo momento storico è più facile gestire questo tipo d’intervento attraverso l’associazione che non attraverso l’ente pubblico. Però non c’è una grande differenza per il resto: la scelta è stata ampiamente condivisa e discussa con l’ufficio emigrazione e abbiamo cercato di fare le cose nel migliore dei modi. Le richieste ci sono, c’è una grande domanda di conoscenza dell’italiano in tanti ambiti e in tanti modi, e questo è uno dei modi. Noi definiamo il corso ICoN “la Ferrari” dei corsi: viene offerto a un numero relativamente piccolo di persone rispetto a quella che è la richiesta di apprendimento dell’italiano, sia per ragione di costi che di opportunità. Siccome tanti circoli svolgono i loro corsi al loro interno non possiamo sostituirci a loro, hanno diritto alla loro autonomia e alle loro attività. Quindi, quello che accede alle aule virtuali di ICoN è un gruppo selezionato di studenti. D’altro canto sono corsi impegnativi, da quello che mi hanno raccontato, e che quindi richiedono un certo grado di applicazione.

Sì, questo è un formato intensivo: comodo per l’aspetto online, ma i nostri studenti ci hanno confermato che l’impegno richiesto è tanto, ed è adatto a chi ha una forte motivazione.

È vero, ma devo dire che comunque c’è una buona richiesta anche quest’anno: il numero delle domande è stato di gran lunga superiore al numero di posti disponibili, e quindi siamo contenti. Anche i riscontri che riceviamo da parte dei corsisti che ci scrivono sono positivi. Alcuni di loro poi li conosciamo personalmente, sono soci dei nostri circoli e ci dicono che sono molto soddisfatti, che frequentano, che stanno imparando. Credo che l’ultimo biennio abbia portato maggiore dimestichezza, in generale, con la modalità a distanza, per cui anche questo probabilmente incentiva la partecipazione. Come dicevo, abbiamo tenuto un corso professionalizzante di gelateria artigianale, online… e abbiamo riscosso un successo inatteso, una quantità di richieste incredibile, e soprattutto abbiamo registrato un livello di frequenza che superava il 75%-80% degli iscritti. Immagino che anche nell’ambito linguistico le persone si siano abituate all’online, a certe modalità di interazione, e forse rispetto a tanti altri anni fa le cose sono facilitate anche lato utente.

Questo è vero specialmente nella formazione degli adulti, di cui ci occupiamo noi. Durante la pandemia si è parlato molto delle problematiche della didattica a distanza soprattutto in rapporto alle scuole, alle difficoltà – anche relazionali e sociali – di bambini e ragazzi. Per quanto riguarda la formazione degli adulti invece la didattica a distanza si rivela un ottimo alleato perché c’è quel fattore che manca nell’istruzione dell’obbligo: la motivazione personale. Là dove tu, come adulto, decidi di formarti su un argomento specifico hai anche la motivazione e la costanza per volerlo frequentare: l’ha scelto tu, sai cosa ti aspetta… in un percorso così, e soprattutto considerando quello che ci siamo detti, penso che la motivazione sia molto forte e ci sono grandi probabilità di successo. Siamo contenti di sapere che il corso stia piacendo e ci auguriamo che vada avanti così.

Non abbiamo motivo di pensare diversamente!

Per saperne di più

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